MAAM
Il museo dell'altro e dell'altrove di Metropoliz_città meticcia
IL MUSEO DELL’ALTRO E DELL’ALTROVE DI METROPOLIZ_Città Meticcia
Giorgio de Finis
Il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove, nasce nel 2012, come ideale prosecuzione del cantiere cinematografico e d’arte “Space Metropoliz”, il film fantarealista che racconta il viaggio sulla Luna di un gruppo di migranti e precari (quelli che nel 2009 occupano il salumificio dismesso sito al 913 di via Prenestina a Roma per farne la loro casa), stanchi di vivere ai margini della società civile e decisi a ricominciare su un altro pianeta.
Figlio di “Space Metropoliz” in quanto (contro) dispositivo situazionista e relazionale, il museo in qualche modo se ne discosta anche. Innanzitutto per il fatto di abbandonare la dimensione tutta speculativa e ludica e farsi pratica “edificante”. Il MAAM inizia a “costruire” (e non più per “gioco”), si affianca al lavoro degli abitanti nell’opera di riqualificazione degli spazi, reinventa, grazie all’intervento degli artisti, luoghi di nuova socialità, per chi vive a Metropoliz, per il quartiere e per la cittàtutta.
Tra gli obiettivi che il MAAM si dà sin da principio possiamo indicare:
- creare una barricata d’arte a difesa dell’occupazione e dei suoi abitanti (le opere attaccate ai murieallestrutturedellafabbricasonounesercitoschierato);
- evitare, o ridurre, l’effetto enclave, un rischio che Metropoliz corre dovendo proteggersi dietro un cancello chiuso (il potere attrattivo della collezione del MAAM e delle sue iniziative periodiche
– i sabati del villaggio e le inaugurazioni collettive in occasione di solstizi ed equinozi – crea un flusso ininterrotto di visitatori, connettendo di fatto la città meticcia con il resto della Capitale: il MAAM opera come un facilitatore di incontro e mette in atto precise “strategie” affinché questo sia possibile e fecondo di arricchimento reciproco);
- proporre e sperimentare un “altro” modello di museo, un “museo abitato” e contaminato dalla vita, che Cesare Pietroiusti ha definito museo “reale” proprio in una lectio marginalis tenuta al MAAM; come pure, di converso, 4) una modalità abitativa informata dalla presenza diffusa e onnipervasivadell’arte;
5) realizzare un’opera corale (in quanto super−oggetto il MAAM non è solo un progetto artistico ma è anche un’opera d’arte e un soggetto artistico). Il Museo dell’Altro e dell’Altrove è, in fondo, un grande “mosaico” alla cui realizzazione ciascun artista partecipa con la propria tessera; somiglia alla cappa multicolore e cangiante di Arlecchino descritta da Michel Serres, un vestito che è anche “pelle”, perché Arlecchino ha molto viaggiato e porta tatuati sul corpo i segni del suo peregrinare. Pur non essendo uno strumento “identitario”, che mira alla costituzione e al rafforzamento di un “noi”, 6) il MAAM è un museo “politico”. Ciascun artista firma con il proprio lavoro una petizione virtuale (e non) a favore di Metropoliz, sottoscrive la lotta contro la precarietà della vita, per il diritto alla casa, alla libertà di movimento, alla bellezza, all’arte e alla cultura per tutt*. E alla cultura “indipendente”, oggi l’unica possibile, dopo la resa incondizionata delle istituzioni culturali alla logica del profitto (lo Stato dovrebbe sostenere la diffusione del sapere, la ricerca, la scuola, l’università, i musei invece di chiedersi, rubando la terminologia ai movimenti ambientalisti, se tali attività sono “sostenibili”).
Il MAAM, con una vera e propria chiamata alle armi, ha invitato gli artisti a dare ciascuno il proprio contributo per “salvare” Metropoliz, e a farlo sotto forma di “dono” raccogliendo in tre anni oltre 400 adesioni; interventi saldamente attaccati ai muri e alle strutture di questo relitto urbano che customizzandosi giorno dopo giorno torna vivo, operoso, fabbrica, cantiere condiviso, una cattedrale laica contemporanea capace davvero di inaugurare il tempo e lo spazio del comune.
Ricucire i due punti estremi della metropoli contemporanea, il luogo più alto per eccellenza, quello del museo d’arte (il cui prezioso involucro è affidato, dalle città−mondo in competizione, alle archistar) e il più basso e degradato, lo slum, il centro e la periferia. Non è stato facile all’inizio per gli artisti “vederlo” il museo a Metropoliz, attraversando gli spazi abbandonati e fatiscenti del salumificio dismesso. Come non è sempre facile per il visitatore distinguere le opere dalle installazioni “spontanee” che la vita di tutti i giorni genera a Metropoliz.
Il primo intervento realizzato al MAAM è stato quello di Veronica Montanino per la ludoteca. La sua “stanza dei giochi” Veronica l’ha vista anche se faceva acqua dal tetto e ci sono voluti sei mesi e una mostra collettiva (dal titolo “L’arte aiuta l’arte, ma non solo”) per raccogliere i fondi e impermeabilizzare i soffitti. Gli artisti che donano un loro lavoro per permettere ad un altro artista di realizzareun’opera?
Roba da MAAM! Il giorno dell’epifania del 2013 i bambini di Metropoliz hanno giocato in un nuovo spazio reso “magico” e sorprendente dall’arte. Magia e sorpresa che rapidamente si sono estese a tutti gli angoli della fabbrica, man mano che il testimone passava da un artista all’altro, violando,surichiestadeglistessiabitanti,anchelasferaprivatadegliambientidomestici.
Oggi il MAAM festeggia i suoi tre anni ospitando la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto. E portando la propria collezione davvero sulla Luna grazie al progetto di mail art di Daniela de Paulis. Il futuro di questo museo “abusivo”?
Affondare con la nave, o meglio l’astronave−Metropoliz, qualora le forze oscure dell’Impero dovessero avere la meglio, o vincere insieme l’ultima battaglia, come recita il titolo dell’opera di Stefania Fabrizi, che all’ingresso accoglie il visitatore; e magari convincere anche le istituzioni e i palazzinari che è possibile e bello guardare alla Luna.
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